Dal primo gennaio 2026 il vecchio regime di Patent Box cesserà di esistere nel nostro ordinamento. A dispetto di quanto è stato dichiarato finora, infatti, il vecchio Patent Box (quello introdotto con la Legge di Stabilità 2015, L. 23 dicembre 2014 n. 190) era ancora in vigore nel nostro ordinamento: in particolare, il 2025 è stato l’ultimo anno in cui hanno potuto usufruire della precedente normativa le aziende contribuenti che avevano effettuato istanza di rinnovo nel 2021 in data antecedente all’entrata in vigore della riforma del Patent Box, operata con il c.d. Decreto Fiscale 2021, DL 146/2021).
Eventuali residui nei prossimi anni, a carico delle finanze dello Stato per minori entrate derivanti dalla detassazione dei redditi agevolabili, non saranno dunque addebitabili alla residua efficacia della normativa quanto piuttosto alla atavica lentezza delle Direzioni Regionali dell’Agenzia delle Entrate nella sottoscrizione degli accordi di ruling.
In linea prospettica, dunque, il legislatore ha davanti a sé, a partire dal 1 gennaio 2026, un periodo in cui non dovrà più fare i conti con le ricadute finanziarie della precedente misura e potrà semplicemente ragionare sull’efficacia e l’adeguatezza delle attuali misure di supporto alla politica industriale ed all’innovazione.
Nonostante le innumerevoli sollecitazioni ricevute dagli operatori del settore e dalle associazioni di categoria, il legislatore del 2021 decise (e negli anni ha confermato la propria posizione) di non includere tra i beni intangibili agevolabili anche nella nuova disciplina del Patent Box – a differenza di quanto accadde per la vecchia versione – il know-how.
Le argomentazioni a sostegno dell’esclusione del know-how, in cui alcuni osservatori hanno provato ad esercitarsi, non hanno mai colto nel segno per una semplice ragione: se il know-how poteva essere oggetto di valorizzazione nella precedente disciplina, allora non si vede per quale ragione – diversa da quella finanziaria – dovesse essere escluso dalla nuova.
Proviamo insieme a capire perché e come lo si potrebbe fare.
Perché re-inserire il know-how nel Patent Box?
Storicamente il tessuto produttivo italiano è stato costituito da piccole e medie imprese particolarmente efficienti nella realizzazione di sotto-prodotti o di sotto-lavorazioni, che si collocano nel mezzo della catena del valore: questa particolare circostanza ha caratterizzato da sempre, e potremmo dire anche condizionato, la propensione delle aziende italiane al deposito di brevetti, i cui numeri non sono mai stati esaltanti.
Ciò che invece caratterizza il cuore “innovativo” del nostro panorama industriale è proprio il know-how, quel sapiente e costante miglioramento di processo e di prodotto che permette alle aziende italiane, di piccole e medie dimensioni, di essere comunque leader sui mercati internazionali.
La centralità di questo sottovalutato, e sottostimato, bene della proprietà intellettuale andrebbe opportunamente (ri)valorizzata, come fu intelligentemente fatto nel 2015 quando fu introdotta la prima versione del Patent Box.
Tanto più che il bene intangibile risultato di quella innovazione tecnologica di cui al “Manuale di Oslo” al quale la nuova disciplina del Patent Box fa cenno e che si ispira all’omonimo credito d’imposta, punto di caduta del miglioramento significativo dei prodotti e dei processi aziendali non rispetto al mercato di riferimento ma rispetto all’azienda stessa, altro non è che il know-how.
Come re-inserire il know-how nel Patent Box?
L’esperienza della precedente versione della normativa di agevolazione, in cui il know-how veniva valorizzato mediante dichiarazione sostitutiva di certificazione da parte dell’azienda contribuente (ancora possibile, peraltro, nell’ipotesi dei software e dei design), contribuisce certamente il presupposto chiave di ogni discorso e non si vede come possa essere di ostacolo alla reintroduzione.
D’altro canto, per scongiurare qualsiasi perplessità da parte di osservatori particolarmente critici ed anche volendo fare un bagno di realtà rispetto agli effetti concreti della reintroduzione, andrà certamente esclusa la possibilità di usufruire con riferimento al know-how del c.d. meccanismo premiale (ossia quello che permette di andare a recuperare i costi fino ad 8 anni prima dell’avvenuta creazione del bene immateriale).
Il bene della proprietà intellettuale, di cui si sta discutendo, è il più intangibile tra gli intangibili, la scelta di non formalizzarlo in un deposito ne fonda la tutela giuridica stessa ed il suo mantenimento in vita presuppone una continua e costante evoluzione temporale, pena la perdita di uno dei requisiti essenziali per la sua rilevanza giuridica (il c.d. vantaggio competitivo).
La necessità di reinserire il know-how nella disciplina del Patent Box è ineludibile se davvero si vuole premiare e stimolare il tessuto produttivo italiano. Ci sarà la volontà politica di premiare il cuore del Made in Italy oltre che limitarsi a dedicargli l’insegna di un Ministero?