Il 16 ottobre 2025 ha visto la luce il Patto del Mediterraneo: un’iniziativa dell’Unione Europea per rafforzare la cooperazione tra le due sponde del Mar Mediterraneo, fondata su cotitolarità, co-creazione e corresponsabilità.
Il patto si basa su tre pilastri:
Le persone: istruzione, mobilità, cultura e turismo, con l’idea di una futura Università Mediterranea.
Economie sostenibili e integrate: tecnologie pulite, digitalizzazione, energie rinnovabili e connettività regionale.
Sicurezza e migrazione: cooperazione su sicurezza marittima, infrastrutture resilienti e gestione condivisa dei flussi.
Il Patto prevede un piano di azione da avviarsi nel primo trimestre 2026, con progetti progressivi e partecipazione di società civile, imprese e università.
Una vera e propria dichiarazione di intenti, dal contenuto flessibile ed in continua evoluzione, per meglio adattarsi alle contingenze del futuro, ormai così imprevedibile.
Tra i punti attenzionati dal Patto c’è, naturalmente, l’intelligenza artificiale: elemento chiave dell’integrazione tra fattore umano, startup, ricerca ed infrastrutture tecnologiche; degli ecosistemi regionali; dell’innovazione inclusiva, etica e trasparente.
Immaginare il Mediterraneo come fulcro di innovazione, sostenibilità e cooperazione tecnologica vera è troppo ardito?