Il nostro è un Paese ricco di Innovazione.
Si tratta di una Innovazione particolare, che riflette le peculiarità del tessuto produttivo nazionale, caratterizzato da una elevata densità di PMI e dalla scarsa presenza di Grandi Gruppi imprenditoriali.
L’Innovazione che pervade e corrobora le Aziende lungo tutto lo Stivale, di conseguenza, non è quella derivante dalle pianificate attività dei reparti Ricerca e Sviluppo, ma quella che scaturisce dal costante e paziente crivello del lavoro quotidiano.
È dunque una Innovazione incrementale, stratificata, che non mira alla creazione di prodotti o servizi dalla novità dirompente, ma consiste in continui miglioramenti della proposta delle aziende verso il mercato, dettati dalla necessità di alimentare il valore competitivo dell’impresa o di rispondere a specifiche esigenze dettate dalla clientela.
Lo strumento giuridico ideale per tutelare i risultati di questa Innovazione è costituito dal Know How, istituto giuridico che nel nostro Paese rivesta una importanza ed una centralità superiori rispetto a quanto accade nelle altre economie avanzate.
Il Know How nel nostro ordinamento è disciplinato dall’art. 98 del Codice della Proprietà Industriale, il quale ne individua l’oggetto nelle “informazioni aziendali e le esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali, soggette al legittimo controllo del detentore […]”.
Dette informazioni costituiscono un valido Know How a condizione che:
Traducendo tali concetti in esempi pratici, costituiscono Know How in senso tecnico-legale, tra l’altro:
Il Know How, dopo un esordio sostanzialmente legato alla disciplina del franchising e dopo essere stato particolarmente applicato nelle fasi patologiche di alcune tipologie contrattuali, ossia nelle ipotesi di violazione di obblighi di riservatezza o di sottrazione di segreti industriali, per alcuni anni ha avuto un impiego su vasta scala grazie al Patent Box.
Il Patent Box, nella sua versione originale, rappresentava un importante incentivo e supporto all’Innovazione: la misura, introdotta nel 2015, premiava le aziende che presentavano significative marginalità, realizzate grazie, all’utilizzo degli IPRs, tra i quali si annovera appunto il Know How. In sostanza, il frutto del lavorio quotidiano, la capacità di innovare costantemente, anche imparando dagli errori e con l’adattamento al proprio settore di tecnologie apprese in altri contesti, venivano premiati dal legislatore con un vantaggio fiscale che permetteva a queste stesse aziende, spesso piccole e medie imprese, di competere con maggiore efficacia sui mercati internazionali.
La riforma del Patent Box in generale ed in particolare l’esclusione del Know How dal suo ambito hanno costituito errori di una estrema gravità, indici di una davvero scarsa comprensione della realtà produttiva italiana.
Il Know How, infatti, alla luce della peculiare tipologia di Innovazione, incrementale e stratificata, che caratterizza le Imprese del nostro Paese, rappresenta su tutto il territorio nazionale il bene intangibile del patrimonio conoscitivo delle Aziende di gran lunga più diffuso e cruciale.
Il rapporto che lega il mondo dei Marchi Storici allo strumento del Know How è particolarmente stringente e interessante, senza dubbio meritevole di specifici approfondimenti e di interventi normativi ad hoc.
Le Imprese portatrici di un Marchio Storico, che nel corso della propria vita hanno visto il susseguirsi e lo stratificarsi di attività, iniziative, progetti ed esperienze, non possono che essere, per loro stessa natura, depositarie di un ampio giacimento di conoscenze sotto forma di Know How.
Se vogliamo usare l’immagine del Know How come tesoro più prezioso nel tessuto imprenditoriale di questo Paese, allora diventa conseguente assumere che le Aziende dei Marchi Storici ne rappresentano gli scrigni più ricchi.
Questo articolo è stato redatto insieme a Francesco Rizzo.
L’articolo originale è stato pubblicato su Marchistorici.com