Come noto con l’acronimo I.C.A. si indicano le infezioni correlate all’assistenza, ovvero: si fa riferimento, in particolare, a tutte le infezioni che siano in vario modo causate dalla presenza di microrganismi patogeni opportunisti in ambiente nosocomiale e che siano insorte nel corso di un ricovero.
Dati relativi alle I.C.A. in Europa e in Italia.
Secondo i dati del primo Rapporto Globale dell’OMS (maggio 2022) le I.C.A. hanno un impatto clinico ed economico rilevante in termini di maggiore mortalità, maggior durata della degenza, disabilità a lungo termine, aumento della resistenza dei microrganismi agli antibiotici e un carico economico ulteriore per i sistemi sanitari, i pazienti e le loro famiglie.
Dalle ultime stime disponibili, 7 pazienti su 100 ricoverati negli ospedali dei Paesi ad alto reddito (15 su 100 nei Paesi in via di sviluppo) contraggono almeno un’infezione durante il ricovero e 1 su 10 muore a causa dell’infezione contratta. In Europa ogni anno le I.C.A. causano 16 milioni di giornate aggiuntive di degenza, 37.000 decessi direttamente attribuibili e 110.000 decessi in cui l’infezione è una concausa. Solo per la quota dei costi diretti si stimano circa 7 miliardi di euro di impatto.
Nel contesto nazionale, un recente studio del Centre for Economic and International Studies dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata sui dati delle Schede di Dimissione Ospedaliera (SDO) dell’ultimo decennio stima che la spesa totale per infezioni ospedaliere ammonti in Italia a 783 milioni di euro.
Secondo il rapporto pubblicato dall’ “European Center for disease prevention and control” (ECDC), nel 2022-2023, in Italia, circa 430 mila persone ricoverate hanno contratto un’infezione ospedaliera (8,2%), un dato superiore alla media UE (6,5%). L’Italia ha fatto registrare il secondo peggior risultato del continente dopo il Portogallo (8,9%). Nel rapporto sopra richiamato, la direttrice dell’ECDC ha affermato che: “Le infezioni associate all’assistenza sanitaria rappresentano una sfida significativa per la sicurezza dei pazienti negli ospedali di tutta Europa. Questi numeri recenti evidenziano l’urgente necessità di ulteriori azioni per mitigare questa minaccia”.
Infine, sulla base di alcuni dati pubblicati dal Quotidiano Sanità, nel febbraio 2024 l’Italia ha avuto la maglia nera in Europa per le morti connesse alle Infezioni Correlate all’Assistenza provocate da germi multiresistenti agli antibiotici: ogni anno, nel nostro Paese, si contano 11 mila morti, un terzo di tutti i decessi.
I riflessi giuridici delle I.C.A. in tema di responsabilità delle strutture sanitarie.
Tra gli obblighi delle strutture ospedaliere nei confronti dei pazienti vi è quello di garantire l’asepsi degli ambienti e degli strumenti utilizzati.
Si può ritenere che, fino a pochi anni fa, la responsabilità addebitata alle strutture ospedaliere presso le quali si verificava un evento avverso collegato ad una I.C.A. veniva determinata in termini di responsabilità oggettiva, sulla base del seguente ragionamento logico-giuridico:
Nella prassi giudiziaria, seppure la struttura fosse riuscita a dimostrare di aver provveduto alla puntuale sanificazione degli ambienti e degli strumenti attraverso l’adozione di regolamenti e protocolli ad hoc, all’esito dell’accertamento giuridico sarebbe stata pronunciata, comunque, una sentenza di condanna nei confronti dell’ente poiché, essendosi l’infezione verificata in ospedale, era ragionevole presumere – secondo la regola del più probabile che non – che la disinfezione non era stata svolta correttamente, ovvero non erano state, correttamente, attuate dal personale sanitario tutte le regole ed i protocolli adottati a tal fine dalla struttura.
In ragione di ciò, a carico della struttura si è imposta una vera e propria probatio diabolica.
Con una importante sentenza emessa dalla Corte di Cassazione, Sez. III civile, del 03/03/2023, n. 6386 sono stati, però, stabiliti una serie di principi che potrebbero dare nuovi spunti ai risk managers delle strutture sanitarie e ai loro legali per una più corretta gestione correlata alla prevenzione del rischio legato al verificarsi di eventi avversi causati da I.C.A. o del contenzioso avviato per ottenere il risarcimento dei danni subiti per tale circostanza.
Riportiamo, di seguito, alcuni rilevanti precetti contenuti nella sentenza sopra richiamata in virtù della quale i Giudici della Cassazione hanno tentato di stilare un vero e proprio decalogo rivolto alle strutture sanitarie:
Prospettive future.
Alla luce di quanto statuito dalla Corte di Cassazione con la sentenza sopra richiamata, se da un lato può considerarsi impegnativa, per la struttura sanitaria, l’attività prodromica alla difesa in giudizio e finalizzata al raggiungimento della prova liberatoria; dall’altro, la pronuncia in rassegna diviene, per la struttura stessa, i risk managers e tutti i vertici aziendali, una “guida” da seguire per (tentare) di rendere effettivo il diritto di difesa nei casi di medical malpractice che abbiano ad oggetto l’accertamento di danni subiti a causa delle I.C.A.
Ma non solo.
Esaminando la pronuncia richiamata sotto un diverso profilo si potrebbe concludere affermando che si sta assistendo ad uno spostamento del baricentro della responsabilità della struttura sanitaria oggi orientato sulle regole della “responsabilità attiva” – più che sulla colpevolizzazione dell’ente –, secondo la logica del Clinical Risk Management per cui l’obiettivo prioritario, in base a un approccio proattivo e organizzativo, deve essere la minimizzazione degli errori e degli eventi avversi.
Ed è in quest’ottica che la previsione e la redazione di vere e proprie check list da far compilare al personale sanitario per dare prova delle regole di prevenzione delle I.C.A. attuate, ad esempio in sede di intervento chirurgico prima, durante e dopo l’intervento stesso, ovvero l’organizzazione di corsi di formazione ad hoc per il personale sanitario, potrebbero diventare delle buone prassi da introdurre all’interno dell’organizzazione della struttura.
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