La proprietà intellettuale del cono gelato, come la sovranità, appartiene al popolo. Dalla “cornucopia”, antico simbolo di abbondanza e fertilità, alle tracce di “coni di wafer” in pubblicazioni inglesi del 1770, fino all’aneddoto dell’Esposizione Universale di St. Louis del 1904: un gelataio resta senza piattini e in soccorso arriva un venditore arabo-siriano che adatta la sua “zalabia”, dolce persiano, e le dà forma di cono. Ma la storia la segna chi ha l’ingegno e anche la prontezza di brevettare l’idea e questa è una storia tutta italiana ambientata, però, fra Regno Unito e Stati Uniti.
Il primo brevetto, infatti, è datato 3 giugno 1902 e attribuito ad Antonio Valvona, un italiano residente a Manchester che mise nero su bianco la sua invenzione: un “apparecchio per la realizzazione di tazze o piatti” di cialda, per creare contenitori edibili da riempire col gelato. Ma qualche tempo dopo, il 15 dicembre 1903, Italo Marchioni ottenne negli USA il brevetto n.746971 per un “apparecchio di stampaggio usato nella fabbricazione di tazze per gelato e simili”. In realtà parrebbe che Marchioni, già dal 1896, servisse gelato su cialde arrotolate, ma solo nel 1903 formalizzò l’idea avviando una produzione su vasta scala nel New Jersey per rifornire i carretti di gelato di New York e da lì rendere popolare il cono gelato in tutta la nazione.
Tanta popolarità destò curiosità e quando i due Antonio Valvona e Italo Marchioni, si incontrarono, notarono come le due invenzioni fossero, sostanzialmente, uguali. La disputa fra i due finì in tribunale e una corte, nel 1913, diede ragione a Valvona: quello di Marchioni risultava un plagio, essendo stato registrato successivamente. L’italiano di Manchester, quindi, incassò il verdetto positivo ma la fortuna sorrise a quello del New Jersey, nel mentre americanizzato in “Marchiony”, che riuscì a industrializzare la produzione di cialde e a imporsi sul mercato.