Non tutti gli algoritmi sono uguali. Sembrerebbe una frase tratta da un film stile Blade Runner ma, invece, è un concetto rafforzato da una recente pronuncia del Consiglio di Stato che affronta un tema centrale: l’impiego degli algoritmi nelle procedure di gara pubbliche. Una sentenza che contribuisce a tracciare il perimetro giuridico dell’automazione nella PA, in coerenza con il nuovo Codice dei contratti pubblici.
In particolare, la sentenza distingue tra algoritmo di supporto, ovvero strumento che assiste la decisione umana, e algoritmo decisionale, un sistema che prende decisioni autonome. Una distinzione non solo tecnica perché incide profondamente sulla legittimità del procedimento e sulle garanzie per i partecipanti. Una differenza fondamentale, perché nel secondo caso ci sono regole molto più rigide da rispettare per garantire trasparenza e correttezza.
La pronuncia si collega a una novità introdotta dal nuovo codice dei contratti pubblici, che obbliga la PA a usare strumenti digitali e automatizzati, ,quindi anche l’ AI, nelle gare con l’obiettivo di migliorare il sistema, ma sempre sottoponendolo al controllo e, dunque, alla responsabilità umana.
E nel cuore di questa transizione, emerge un concetto chiave: la “riserva di umanità”, cioè la necessità che l’intervento umano rimanga centrale, soprattutto nei passaggi decisivi. L’IA, dunque, deve essere vista come un ausilio, non come un sostituto del giudizio discrezionale umano, come già ribadito da una sentenza del Tar del Lazio, assecondando una visione etica e giuridica chiara, che ponga al centro la tutela dei diritti dei cittadini, la trasparenza dei processi e la responsabilità degli attori coinvolti.