Una recente inchiesta della testata olandese Follow the Money EU ha rivelato come importanti società di rating abbiano escluso dalle loro valutazioni talune violazioni dei diritti umani in termini di misurazione degli impatti ESG (Environmental, Social, Governance).
In particolare, non sarebbero state tenute in considerazione azioni o correlazioni con quanto sta drammaticamente accadendo da oltre 500 giorni a Gaza.
Non si tratta di una novità, considerando che la situazione in corso nella Striscia è solo la punta dell’iceberg di ciò che succede dal lontano 1967, ossia dall’occupazione dei territori palestinesi da parte di Israele, considerata illegale secondo il diritto internazionale ed in più occasioni condannata dall’ONU.
Questo ha permesso ad aziende coinvolte in attività controverse o con rapporti diretti con l’esercito occupante, di ottenere punteggi elevati in sostenibilità e così facilitando l’accesso a fondi etici.
Si tratta di circostanze che sollevano interrogativi sulla coerenza e sull’universalità dei criteri ESG. Iniziative nate con intenti lodevoli rischiano di essere influenzate dai doppi standard tipici del mondo “occidentale” e pressioni lobbistiche, compromettendo la loro attendibilità.
Ciò che, da un lato, evidenzia il peso, ancora troppo sottovalutato, delle tematiche ESG sul mondo attuale e su quello futuro.
Dall’altro, fa perdere di credibilità all’intero sistema di rating che oggi, infatti, è sotto accusa per perpetrare esso stesso attività di washing.
Una valutazione invece neutra, non influenzata da fattori esterni ed onesta sarebbe invece un elemento di supporto a quella fame di pace e giustizia che il mondo sembra avere e che è stata ben rappresentata dalle prime parole del nuovo pontefice Leone XIV.
Le metriche ESG riusciranno a conservare una loro coerenza oppure potranno essere interpretate o, ancor peggio, manipolate ad uso e consumo di chi ne dovrà disporre?